Gli artt. 2341 bis e 2341 ter prevedono una disciplina specifica e del tutto nuova dei patti parasociali, in qualunque forma essi siano stipulati, anche nelle società non quotate (art. 4, comma settimo, lett. c) della l. 366 del 2001): ciò al fine di armonizzare la disciplina di queste ultime con quanto già stabilito per le società quotate dagli art. 122 ss. del t.u. 24 febbraio 1998, n. 58, attuandone, sebbene con la previsione di oneri meno stringenti, una pubblicità adeguata e regolandone la durata. D’altronde, come è noto, nelle società non quotate l’opinione ormai prevalente ammetteva la validità di queste convenzioni, purché nel rispetto, in particolare in relazione all’oggetto ed ai contenuti, di norme e principi considerati inderogabili.
I patti presi in considerazione dalla novella, finalizzati a stabilizzare gli assetti proprietari della società o il suo governo, sono quelli:
di voto, anche in ipotesi di controllo;
che pongono limiti al trasferimento delle partecipazioni, anche delle controllanti;
stipulati per l’esercizio, anche congiunto, di un’influenza dominante.
Per i patti non riportati in tali elenchi, lungi da una loro implicita declaratoria di invalidità, occorrerà attenersi ai tradizionali criteri di valutazione di diritto comune.
I patti possono essere a tempo determinato e a tempo indeterminato. Nel primo caso non possono avere durata superiore a cinque anni; se superiori si riducono a tale termine. Se invece sono pattuiti a tempo indeterminato, i contraenti posso recedere con un preavviso di almeno sei mesi. Residua il dubbio di come considerare il patto di durata determinata lunghissima: ad esempio di 99 anni. Esso probabilmente, nell’ambito di una quaestio facti, da effettuarsi caso per caso, potrebbe riqualificarsi come a tempo indeterminato, con conseguente diritto di recesso, più che ridursi a cinque anni.
Va ricordato il nuovo art. 223 unvicies, delle disposizioni di attuazione e transitorie, che prevede che il limite di cinque anni previsto dall’art. 2341 bis si applichi ai patti parasociali stipulati prima del gennaio 2004, decorrendo peraltro da tale data. I patti preesistenti senza indicazione di durata scadranno pertanto nel 2009; ad eccezione, potrebbe peraltro ritenersi, di quelli già e per motivi funzionali accordati a tempo indeterminato, unitamente alla previsione del diritto di recesso.
Derogano a tali regole gli accordi di collaborazione produttiva (art. 2341 bis, ultimo comma): i patti ad essi strumentali, ancorché intercorsi tra due o più soci, non potranno considerarsi patti parasociali, in quanto, ovviamente, non finalizzati a quella stabilizzazione degli assetti proprietari o del governo della società indicata dal primo comma dell’art. 2341 bis.
Ulteriori oneri di esteriorizzazione sono posti per l’efficacia di tali patti, ove essi riguardino società che fanno appello al capitale di rischio (società emittenti azioni quotate o diffuse fra il pubblico in misura rilevante: art. 2325 bis). In questo caso i patti devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea; tale esternazione va quindi trascritta nel verbale, da depositarsi presso il registro delle imprese. Il fatto che non si faccia riferimento ad assemblee straordinarie o verbali redatti da notaio, induce a ritenere che l’obbligo di comunicazione, di esternazione, di trascrizione ed, in particolare, di deposito, sussista anche in caso di assemblee ordinarie.
L’omissione della esteriorizzazione comporta il congelamento del relativo diritto di voto e l’eventuale impugnabilità della delibera ex art. 2377.
Dal momento che le società quotate già avevano una regolamentazione parzialmente diversa in tema di patti parasociali la loro disciplina dovrà evincersi dal coordinamento degli artt. 122 ss. del t.u.f. 58 del 1998 (nonché degli artt. 127 ss. Del regolamento Consob 14 maggio 1999, n. 11971) con gli artt. 2341 bis e 2341 ter, c.c., ove questi ultimi siano compatibili con i primi, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2325 bis, secondo comma.